Gesù non fu «riscattato» dal Padre, ma consegnato a Lui
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Gesù non fu «riscattato» dal Padre, ma consegnato a Lui

I significati delle ritualità prescritte e rispettate da Maria e Giuseppe per Gesù

«Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore» .
(Dalla liturgia)

Il Vangelo di Luca termina i racconti dell’infanzia di Gesù con la descrizione di quanto accadeva in quei tempi dopo la nascita di un bambino.

Anzitutto dopo otto giorni era prevista, per i maschietti, la circoncisione: anche Gesù otto giorni dopo la sua nascita venne circonciso (ricordiamo questo episodio otto giorni dopo il Natale, il 1° gennaio) e gli venne imposto il nome di Gesù.

Quaranta giorni dopo, il due di febbraio, oggi, festeggiamo tre avvenimenti: la purificazione di Maria, il riscatto del Figlio primogenito mediante il sacrificio prescritto dalla legge di Mosè e la presentazione di Gesù bambino al tempio.

In primis la purificazione: la donna che aveva partorito era considerata impura dalla legge di Mosè: non era una impurità morale ma solo rituale, non poteva cioè partecipare alla liturgia del tempio. Passati quaranta giorni dalla nascita la donna doveva offrire un animale in sacrificio per la propria purificazione (un agnello o un capretto, oppure per i più poveri un paio di tortore o di colombi).

Poi il riscatto del figlio primogenito: «ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (parafrasi di Esodo 13,2). Ogni primogenito maschio era considerato, dalla legge di Mosè, di proprietà di Dio, per cui era necessario riscattarlo (cioè «ricomprarlo» da Dio, che ne era proprietario), anche qui con l’offerta di un animale: un agnello oppure (per i più poveri) una coppia di tortore o di giovani colombi.
Sembra il racconto di procedure rituali strane, lontane da noi, che non c’entrano niente con la nostra vita.

Non è così. Nel racconto di Luca Gesù non viene riscattato, anzi, viene presentato a Dio, viene consegnato a Dio, come sua proprietà esclusiva. Un altro dettaglio: per nessuno degli adempimenti prescritti era necessario presentarsi al tempio: l’offerta veniva fatta nel paese o nella città dove la famiglia abitava. Luca invece mette in evidenza il fatto che tutto questo avviene nel tempio di Gerusalemme, nel luogo dell’incontro di Dio con il suo popolo. È qui che si compie l’offerta di Gesù di Se Stesso al Padre.
Cristo, come dice la seconda lettura, è il vero sacerdote, non nel senso che questa parola aveva nell’antico testamento, cioè un uomo separato dal popolo a servizio di Dio, ma al contrario colui che mette in relazione Dio e il suo popolo, Dio e ciascuno di noi. Questo è il senso del sacerdozio, il senso del culto, delle pratiche religiose: tutto questo ci deve aiutare ad entrare in comunione con Dio, altrimenti tutto sarebbe vano, sarebbe inutile.

Cristo entra nel tempio, come dice la prima lettura del profeta Malachia, per purificare, per mettere alla prova. Entra nella nostra vita per togliere quello che non va, che ci allontana da Dio. Il peccato, che raffreddando l’amore di Dio in noi ci rende profondamente infelici.

Associata all’azione di Cristo è Maria. Maria, insieme a Giuseppe, offre il bambino, ma il vecchio Simeone le fa capire che al sacrificio del suo Figlio è associata anche lei: una spada le trafiggerà l’anima. Anche noi, come Maria, siamo chiamati a partecipare a questo sacrificio: seguire Cristo comporta anche sacrificio, comporta anche rinuncia. Ma non sono sacrifici e rinunce fini a se stessi, sono sacrifici e rinunce fatti in vista di un bene maggiore, fatti per poter accogliere e far risplendere nella nostra vita quella luce che solo il Signore ci può dare.

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