Il libro della Sapienza, chiude l'Antico Testamento e apre al Nuovo
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Il libro della Sapienza, chiude l’Antico Testamento e «apre» il Nuovo

Il fenomeno lecito della pseudo-epigrafia lo attribuisce a Re Salomone

Nell’Antichità non era reato e neppure motivo di scandalo o sorpresa, «firmare» un testo o un qualsiasi scritto col nome di un autore famoso.

È la pseudo-epigrafia, utilizzata per dare «forza» e autorità a ciò che si voleva trasmettere, restando sui solchi di pensiero dell’autore citato.

Come in tutta la letteratura antica troviamo ciò anche tra i libri della Bibbia, il che non esclude di ritenerli ispirati: ne abbiamo esempi in Cantico dei Cantici e in Qoelet (Ecclesiaste), come in molte Epistole del Nuovo Testamento.

Il libro della Sapienza rientra di diritto nel novero dei documenti dell’Antico Testamento, seppure scritto in greco. Sappiamo che non è accettato nel canone ebraico, proprio perché non si esprime in ebraico. È evidente però che il problema più importante sorge dai contenuti teologici.

Sebbene «scritto» da Salomone, il libro della Sapienza richiama fortemente il Logos, ovvero il Figlio nella dimensione trinitaria.

Ci accorgiamo leggendolo che il riferimento all’efficacia della Sapienza nella sua più profonda essenza, lo accomuna fortemente alla figura del Figlio.

La Sapienza è presente all’a creazione all’inizio di tutto il creato, quando la potenza del Padre si manifesta nell’opera creatrice della Parola.

La datazione è fatta risalire al 50 a.C. e l’autore sarebbe un anonimo greco. Il libro della Sapienza è riportato nei quattro grandi manoscritti, ovvero B (Codex Vaticanus, IV secolo), S (Codex Sinaiticus, IV secolo), A (Codex Alexandrinus, V secolo) e C (Codice di Efrem, V secolo), ma anche in numerosi manoscritti minori.

La presenza del genere letterario dell’encomio ne confermano il carattere ellenistico, riportato ai tempi del Re Salomone, il quale si rivolge ai colleghi regnanti all’epoca.

Sebbene collocato, come accennato, storicamente a 50 anni prima della nascita di Gesù, il libro della Sapienza anticipa le accezioni che ripetiamo nel Credo niceno-costantinopolitano in cui dichiariamo di aver fede in un Padre che crea l’universo guardando negli occhi il proprio Figlio, generato, non creato, e presente prima di tutti i secoli.

La coincidenza di Sapienza e Figlio è espressa chiaramente nel primo mirabile versetto del Prologo di Giovanni, anch’esso redatto in greco [Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος], e che traduciamo in: «In principio era Dio, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio». Ma ciò risulta ancora più esplicito nei successivi versetti 2 e 3: «Questi era in principio presso Dio. Tutto è venuto ad essere per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è venuto ad essere di ciò che esiste» [οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν θεόν. πάντα δι’ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν. ὃ γέγονεν].

Il tema principale è di tipo apologetico, nel tentativo di difendere la cultura ebraica messa in difficoltà da quella greca, con la sua proposta nelle discipline filosofiche, scientifiche, filosofiche, astrologiche, misteriche, ermetiche e l’apertura ai culti popolari.

Ma non si può negare che nel libro della Sapienza si trovi anche il concetto esclusivo del Cristiano, addirittura cattolico, ovvero l’apertura ai pagani in un Dio che ama tutti gli uomini.

Molto significativo dunque il fatto che il libro della Sapienza sia l’ultimo dell’Antico Testamento, introducendo di fatto il Nuovo.

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