Non illudiamoci di avere il Regno di Dio «in esclusiva»
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Non illudiamoci di avere il Regno di Dio «in esclusiva»

Possedere il Regno non è un diritto, ma un merito che dobbiamo conquistare con la fedeltà

E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Dalla liturgia).

La parabola sembra una storia un po’ improbabile, ma racconta per filo e per segno le vicende del popolo ebraico.

Dio ha amato in modo speciale questo popolo, ma esso è stato ingrato: al suo amore gli Ebrei hanno risposto uccidendo prima i servi (i profeti) e poi il Figlio (Gesù Cristo).

Ma questa parabola riguarda anche noi, che viviamo in nazioni di antica evangelizzazione. Anche noi rifiutiamo gli appelli di Dio. Anche noi uccidiamo Cristo, e se non lo possiamo farlo nella carne, lo facciamo escludendo il suo messaggio dalla nostra vita, sia privata (il nostro modo normale di vivere: le persone e le famiglie oggi generalmente non vivono più seguendo gli insegnamenti del Vangelo) che pubblica (lo stesso discorso vale per la scuola, il mondo del lavoro, la vita politica).

Se non ritorneremo a mettere l’insegnamento di Cristo e della Chiesa al centro della nostra vita, sia privata che pubblica, anche noi faremo la fine del popolo ebraico: il regno di Dio ci verrà tolto e verrà dato ad altri. Ad altri popoli, ad altre nazioni, ad altre culture, che sapranno trarre dal messaggio del vangelo quegli immensi frutti di bene che nei secoli e nei decenni passati sono sbocciati da noi.

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