La Fede “performante” migliora anche la vita terrena
Credere è anche sapersi affidare
«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui». (Dalla liturgia).
Per avere la vita eterna, la gioia senza fine del Paradiso, ma anche per avere una vita piena su questa terra, è dunque necessario credere nel Figlio.
Cosa significhi credere lo abbiamo già visto nei giorni scorsi. Certamente significa credere nelle verità che professiamo nel Credo. Significa ritenere che sia vero che Dio esiste, esiste in una sostanza e in tre persone, che ha creato il mondo e ciascuno di noi, che Gesù è vero uomo e vero Dio, ritenere vero insomma tutto ciò che la Chiesa ci propone come verità di fede.
Ma credere non è solo questo. Significa fidarsi di Dio. E quando ci fidiamo di qualcuno pensiamo che ciò che ci dice sia vero. La fede non è solo un atto intellettuale, un ragionamento. È una decisione dell’intelligenza e della volontà, che ha delle conseguenze pratiche: adeguare la propria vita alla verità che si crede.
Il brano di oggi termina con una frase che ci fa rabbrividire: «chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui». La fede, se è autentica, porta alla carità, cioè all’amore verso Dio e verso i fratelli. A donare la vita per gli altri, mettendosi al loro servizio («non c’è amore più grande di chi dona la vita per i propri amici»), e per Dio, obbedendo ai suoi comandamenti («chi mi ama osserva i miei comandamenti»).
Se la fede non modifica il nostro modo di pensare e di vivere, se in qualche modo non ci cambia, rimane una cosa inutile e senza effetto. Non migliora la nostra vita quaggiù e non ci condurrà alla vita eterna.