Nella creazione ci sono due cieli e due acque
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Nella creazione ci sono due cieli e due acque

L’insufficienza della lettura letterale

Il problema nella lettura della Bibbia, come di tutti i testi antichi, risiede nell’interpretazione. Essa deve essere il più possibile armonica con i concetti che i redattori dei testi volevano trasmettere.

Tutte le volte che apriamo un libro antico siamo portati a leggere con gli occhi di noi uomini del terzo millennio. In realtà la storia ci insegna che mentalità, parole, concetti, logica e molto altro ancora, sono profondamente cambiati.

Ancora oggi ci troviamo di fronte a popoli con culture e modi interpretativi degli eventi e della natura, diversi tra loro.

Nella fattispecie della Bibbia il problema è ancora più sensibile perché interviene la pretesa di leggerla come se fosse un libro di scienze, mentre questo era ben lungi dall’intenzione dei redattori.

Prendiamo ad esempio il primo versetto della Genesi, che inaugura tutte le Scritture: «בְּרֵאשִׁ֖ית בָּרָ֣א אֱלֹהִ֑ים אֵ֥ת הַשָּׁמַ֖יִם וְאֵ֥ת הָאָֽרֶץ», che noi traduciamo con: «In principio Dio creò i cieli e la terra».

L’analisi della frase sembrerebbe di facile comprensione, ma passando attraverso la cultura del popolo ebraico del VI secolo a.C. presenta degli aspetti interessanti.

Balza subito agli occhi quello che per noi neo-latini è il plurale nella parola «cieli». Ci verrebbe da pensare ai «sette cieli» nei quali durante la storia si voleva dare la vastità e la graduazione del trascendente. In realtà non è così. Allora perché viene usato un plurale?

La verità risiede nella sintassi e nella grammatica ebraica. Il termine «cieli» non è un plurale, perché in ebraico esiste un altro caso che si chiama duale.

Con il duale vengono espressi quelle parole che indicano cose che si presentano a coppie. Si usa infatti il duale per «occhi», «mani», «braccia», ecc. Che il termine cielo necessiti il duale è dunque per noi strano.

Dobbiamo dunque sapere che nella cosmologia ebraica del tempo, i cieli erano due e racchiudevano la Terra. Esisteva quindi la conoscenza che il nostro pianeta, seppur limitato alle terre allora conosciute, fluttuasse nei cieli.

Il fatto che venissero indicati nella creazione entrambi i cieli e la terra, voleva esprimere il concetto di una creazione totale del mondo allora conosciuto.

Questo è uno solo degli aspetti curiosi che si scoprono leggendo i libri antichi contestualizzandoli nel momento della redazione.

Proseguendo la lettura possiamo scorgere che anche l’acqua è per gli ebrei soggetta al duale. Non esiste in ebraico il termine «acqua», ma esclusivamente «acque» (מים, majim). Ancora oggi in Israele se vogliamo chiedere dell’acqua per bere, dobbiamo domandare «acque».

Si tratta di una concezione antica anch’essa legata alla cosmologia del tempo, in cui le acque si riteneva fossero in realtà due: una al di sopra della cupola del firmamento, e una sulla e sotto la terra ferma.

Da questa espressione nascono dunque delle interpretazioni che vanno al di là della semplice soluzione di ritenere il racconto della creazione una narrazione scientifica, ma si scopre che ci sono delle informazioni circa i valori.

Vediamo infatti che l’intervento creativo di Dio prosegue in una situazione in cui cieli e terra sono travolti dal disordine (caos), al quale l’Ente Supremo rimedia stabilendo l’equilibrio.

La prima cosa che interviene è la luce [hor (אור, maschile in ebraico)], e con essa le tenebre [chòsheq (חשֶׁךְ)], ma il חשֶׁךְ non è per gli israeliti l’assenza di luce dal principio: interviene quando la luce si spegne. L’indicazione è quindi sottoposta a una condizione che richiama il rifiuto della luce.

Solo a quel punto Dio vede ciò che ha fatto il primo giorno giudicandolo buono. Viene dunque citato il primo aspetto temporale (giorno), sottolineato da «venne sera, e poi mattina».

Dobbiamo quindi pensare che vi fu un tempo (e oggi la fisica lo ha scoperto) in cui, sebbene sia difficile da comprendere, non esisteva il tempo e con esso lo spazio.

È da considerare che queste fino a qui espresse sono solo delle considerazioni semplici: in realtà lo studio della Bibbia riserva delle osservazioni ancora più profonde che sconvolgono tutti coloro che pretendono di leggere la Bibbia in senso pienamente letterale.

In molti punti delle Scritture appaiono inoltre dei fatti e degli eventi che sono descritti attraverso delle frasi fatte o dei modi di dire che noi non conosciamo, ma che erano altamente indicativi per un lettore dell’epoca.

Il fatto stesso che la Bibbia dica che vennero creati successivamente il Sole e la Luna, non indica null’altro che l’uomo non deve adorare gli astri perché essi stessi sono cose create.

Non facciamo quindi l’errore di credere che la Bibbia voglia dire che l’universo sia stato creato in 6 giorni, oppure che gli animali fossero stati portati all’uomo ad uno ad uno: l’espressione rientra in un genere simbolico.

L’uso dei simboli era utilizzato in modo corrente e automatico sia nella letteratura che negli altri mezzi espressivi antichi.

Per noi credenti interviene poi l’influsso dell’ispirazione divina. La Bibbia è stata scritta con i mezzi cognitivi dell’ebreo del VI secolo, secondo la visione che egli aveva dell’universo e di Dio. Lo Spirito Santo è intervenuto affinché questa espressione «umana» potesse indicare la realtà, e tutto ciò con la collaborazione dell’uomo che vuole scoprire e avvicinare il suo Dio. È un concetto che Michelangelo espresse sapientemente nel suo famoso affresco della Creazione nella Cappella Sistina, in cui si vede che Dio tende il dito verso l’uomo, e attende che il dito dell’uomo si tenda verso di Lui.

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